Vivere la messa - Introduzione (parte1)

VIVERE LA MESSA  -  FULTON J. SHEEN 

Introduzione 

Alcune cose della vita sono talmente meravigliose da non poter essere dimenticate, come, per esempio, l’amore di una madre: per questo motivo custodiamo gelosamente la sua fotografia. L’amore dei soldati che si sono sacrificati per il proprio Paese è, allo stesso modo, troppo bello per essere trascurato e quindi celebriamo il loro ricordo nel Memorial Day. La più grande benedizione che abbia mai toccato questa terra, però, è la venuta del Figlio di Dio, uomo nella forma e nell’aspetto. La sua vita, tra tutte le vite, è troppo bella per essere dimenticata, e per questo riviviamo la natura divina della sua parola nelle Sacre Scritture e la pietà delle sue azioni nella nostra condotta quotidiana. Sfortunatamente il ricordo di alcuni si limita a queste cose: le sue parole e i suoi atti; per quanto siano importanti, però, non rappresentano gli elementi fondamentali dell’esistenza del divino Salvatore. 

L’atto più sublime della storia di Cristo fu la sua morte. Questa è sempre importante perché suggella un destino; ogni uomo che muore costituisce una scena e ogni scena di morte è un luogo sacro. A partire da questa considerazione comprendiamo il motivo per cui la grande letteratura del passato, interessata alle emozioni che hanno a che fare con la morte, resta attuale. Tra tutte le morti che possiamo riportare alla memoria, nessuna fu più importante di quella di Cristo: ogni altra persona è venuta al mondo con lo scopo di vivere, ma nostro Signore è nato per morire. La morte fu lo scoglio contro cui si incagliò la vita di Socrate, ma per Cristo fu il coronamento della sue esperienza terrena. Egli stesso ci disse di essere venuto «per dare la propria vita in riscatto di molti» e, poiché nessuno poteva privarlo della sua vita, si sarebbe sacrificato. 

Dal momento che la morte è stata l’atto supremo, lo scopo dell’esistenza di Cristo, essa è anche quanto di più importante egli voleva che fosse ricordato. Cristo non ha preteso che gli uomini riportassero le sue parole nella Scrittura, non ha chiesto che venisse ricordata la sua bontà verso i poveri, ma ha voluto che gli uomini rammentassero la sua morte. Così, affinché questa non venisse tramandata una semplice narrazione scritta da uomini, istituì la precisa ritualità della sua rievocazione. 

Il memoriale fu istituito durante la sera che precedette la sua morte, in quella che viene chiamata «l’ultima cena». Prendendo il pane nelle sue mani disse: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi» riferendosi a un sacrificio che lo avrebbe portato alla morte. Disse poi, di fronte al calice del vino: «Questo è il mio sangue della nuova ed eterna alleanza, che sarà versato (per voi e) per molti in remissione dei peccati». Così, con un’immagine incruenta della divisione del sangue dal corpo, attraverso la consacrazione separata di pane e vino, Cristo offrì il suo stesso sacrificio agli occhi di Dio e degli uomini, e raffigurò la sua morte che sarebbe avvenuta alle ore tre del pomeriggio seguente 1. Stava offrendo se stesso come vittima da immolare cosicché gli uomini non dimenticassero che: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Diede il divino comando alla Chiesa: «Fate questo in memoria di me». 

Nel giorno seguente, che aveva anticipato e mostrato, egli trovò la sua completa realizzazione quando venne crocifisso tra due ladroni e il suo sangue sgorgò dal suo corpo per la redenzione del mondo. 

La Chiesa che Cristo ha fondato, non solo ha conservato le parole che egli pronunciò e i miracoli che egli compì, ma ha anche preso sul serio la sua frase: «Fate questo in memoria di me». L’atto con cui diamo nuovamente vita al suo sacrificio sulla croce è il sacrificio della messa nella quale ripetiamo, come in un rito commemorativo, ciò che egli fece nell’ultima cena prefigurando la sua Passione2

Per questo motivo la messa è per noi l’atto supremo della religione cristiana. Un pulpito dal quale le parole di nostro Signore sono ripetute non ci unisce a lui: un coro che esegue canti capaci di evocare dolci sentimenti non ci avvicina di più alla sua croce che alla sua forma esteriore. Non è mai esistito, tra i primitivi, un tempio privo di un altare per i sacrifici e ciò non avrebbe senso neppure per i cristiani. E così, infatti, per la Chiesa cattolica, non sono fondamentali il pulpito, il coro o l’organo, ma l’altare dove si rivive il ricordo della Passione di Cristo. Il valore di questo rito non dipende da chi ne pronuncia le parole o da coloro che vi assistono, ma deriva da colui che è l’unico sommo sacerdote e vittima sacrificale, Gesù Cristo nostro Signore. Ci uniamo con lui nonostante la nostra piccolezza: in quel momento, in un certo senso, perdiamo la nostra individualità e uniamo intimamente con Cristo il nostro intelletto e la nostra volontà, il nostro cuore e la nostra anima. In questo modo il Padre celeste non vede più noi, con tutti i nostri difetti, ma ci considera come parte del Figlio diletto di cui si compiace. La messa è quindi il più importante evento della storia del genere umano, l’unico atto santo che nasconde la collera di Dio per un mondo pieno di peccato, ponendo la croce tra il Cielo e la terra, ridando vita a quel decisivo momento in cui la nostra triste e tragica umanità si levò improvvisamente verso la pienezza della vita soprannaturale.

 

-------- note -----

1 «La morte ci viene presentata con un simbolo, vale a dire il separarsi, nel sacramento, del sangue dal corpo. Essa, allo stesso tempo, è già data in pegno a Dio per tutto quello che vale, come la sua terribile realtà, attraverso il linguaggio espressivo del sacro simbolo. Il prezzo per i nostri peccati verrà pagato sul Calvario, ma là sarà il nostro Redentore ad accollarselo» (MAURICE DE LA TAILLE, S.J., Catholic faith in the holy eucharist, 115). «I sacrifici offerti da Cristo non furono due, completi e differenti, uno al Cenacolo e l’altro sul Calvario. Ci fu un sacrificio all’ultima cena, e si trattava di un offrirsi per la redenzione, e uno sulla croce, ma si trattava dello stesso identico sacrificio continuato e portato a compimento. L’ultima cena e la croce costituiscono insieme un unico e identico sacrificio» (MAURICE DE LA TAILLE, S.J., The mystery of faith and human opinion, 234). 

2 «Si offrì come vittima per essere immolato; noi lo offriamo come lui si immolò molto tempo fa. Noi offriamo la vittima eterna sulla croce, sacrificata un tempo e per sempre […]. La messa è un sacrificio perché è la nostra oblazione della vittima immolata, anche se l’ultima cena fu l’oblazione della vittima perché fosse immolata» (Ibid., 239-240). La messa non è solo una commemorazione, è una rappresentazione vivente del sacrificio sulla croce. «In questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si sacrificò una sola volta in modo cruento sull’altare della croce […]. Si tratta, infatti, della stessa, identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per mezzo dei sacerdoti, egli che un giorno si offrì sulla croce. Diverso è solo il modo di offrirsi» (Concilio di Trento, Sessione 22).  

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